Come riporta il
Rapporto Censis 2016, “il progressivo restringimento del
welfare legato agli obiettivi di finanza pubblica appare evidente nella dinamica recente della spesa sanitaria. Dal 2009 al 2015 si registra solo una lieve riduzione in termini reali della spesa pubblica. […] Aumenta poi la compartecipazione dei cittadini alla spesa: +32,4% in termini reali dal 2009 al 2015 (con un incremento più consistente della compartecipazione alla spesa farmaceutica: 2,9 miliardi, +74,4%)”.
Questo evidenzia come la gestione del
lavoro domestico da parte delle
famiglie abbia un impatto significativo anche a livello economico e fiscale. La presenza sul territorio si traduce in un giro d'affari versato dalle famiglie
datori di lavoro ai lavoratori e allo Stato.
Complessivamente, a partire dai dati
INPS si può calcolare una
spesa delle famiglie di circa 7 miliardi di euro l'anno, di cui 947 milioni in contributi versati allo Stato e 416 milioni in TFR. La classe media annua di contribuzione, ovvero la
retribuzione media di ciascun lavoratore oscilla tra i 6 e i 7 mila euro.
Questo genere di rapporti contrattuali non solo permette allo Stato di risparmiare costi di gestione di strutture per l'assistenza, ma permette alle donne italiane di entrare e rimanere nel mercato del lavoro.
La conciliazione tra
tempi di vita e lavoro, problema irrisolto da parte del sistema pubblico di welfare, viene di fatto assolta dal basso. Il tutto attraverso l'incontro tra domanda e offerta gestito direttamente dalle famiglie. Tuttavia, se da un lato questa “autogestione” del welfare familiare garantisce standard qualitativi adeguati nei servizi offerti, ciò non deve determinare un arretramento dello Stato nella responsabilità della gestione della Sanità e dell'assistenza alla persona, ma anzi dovrebbe rappresentare un contributo da valorizzare e premiare anche dal punto di vista fiscale.
Per maggiori approfondimenti consigliamo la lettura del
Dossier DOMINA n.1.