Se non ci fossero le
donne non esisterebbe nemmeno il settore del lavoro domestico. Bastano pochi dati statistici a dimostrarlo. Nel 2019, L’88,7% dei quasi 850mila
lavoratori domestici regolari in Italia sono donne; gli uomini sono appena l’11,3%. Nel 2012 le donne erano l’81,1%, dunque la presenza del genere femminile cresce, nel giro di sette anni, di 7,6 punti percentuali.
Esistono delle
differenze territoriali, ma il genere femminile prevale ovunque, dalle Alpi alla Sicilia. Al Nord la maggioranza è schiacciante (91%), nelle regioni del Centro si attesta attorno all’88%, al Sud raggiunge l’86%. Tra le regioni, la Sicilia registra la minor percentuale di donne (75,9%), il Trentino Alto Adige quella maggiore (95,4%).
L’Osservatorio nazionale DOMINA ha raccolto e analizzato questi dati, sia a livello regionale che nazionale e li ha inseriti nel Rapporto annuale 2020 sul lavoro domestico.
Massimo De Luca, direttore dell’Osservatorio, spiega come “nel settore giochi un ruolo significativo la componente straniera (70% del totale), soprattutto quella dell’Est Europa, così come quella femminile (89%), anche se negli ultimi anni si è registrato un aumento sia degli uomini e della componente italiana”.
Le donne, dunque, costituiscono la colonna portante del settore, ma sono sempre più anziane: se nel 2012 la maggioranza dei lavoratori domestici aveva un’età compresa tra 30 e 49 anni (54,0%), oggi la fascia più numerosa è quella degli ultra 50enni (52,4%). Contestualmente è diminuita anche la componente giovane (fino a 29 anni), passata dal 14,5 al 5,3% del totale.
La fragilità delle lavoratrici immigrate: il caso delle donne romene.
Molte donne sono costrette a emigrare in Italia dal Sudamerica, dalle Filippine, dall’Europa orientale. La Romania è il Paese con la più numerosa comunità straniera e con il più alto numero di lavoratori domestici in Italia. Si stima siano 165mila,
un quinto di tutte le
colf e
badanti regolari che operano nel nostro Paese.
E poi ci sono le
irregolari, le più fragili. Si allontanano dalle famiglie d’origine per molto tempo, da noi fanno fatica a integrarsi e quando ritornano in patria sono nuovamente disadattate, ritrovano spesso una situazione peggiore di quella lasciata.
Un recente reportage del
Corriere della Sera dalla
Romania racconta bene la situazione. Al rientro nelle loro città le donne trovano mariti ubriaconi e traditori che non hanno mai lavorato e si sono bevuti i risparmi spediti dall’Italia; ex bambini cresciuti coi nonni o coi vicini, “orfani bianchi” ormai estranei che nell’abbandono hanno dimenticato perfino che faccia avesse, la loro mamma. Tutt’intorno, un mondo che non è più lo stesso d’una volta.
A Lasi, quasi al confine con la Moldavia, un ospedale psichiatrico cura una depressione che non perdona, quella che la letteratura scientifica chiama proprio “la sindrome Italia”: qui sono accolte centinaia di badanti.
Le casalinghe italiane chiedono formazione e diritti
L’altra faccia del lavoro domestico è quella delle casalinghe italiane, ben
8,5 milioni. “Tra le donne in età lavorativa, è più alto il numero di quelle che lavorano - non retribuite - tra le mura domestiche rispetto a quelle che lavorano fuori”, afferma
Federica Rossi Gasparrini, presidente di Federcasalinghe. “Siamo stati i primi in Europa a tutelare le casalinghe contro gli
infortuni domestici”, continua la presidente, “ora servono aiuti pensionistici e azioni culturali per consentire di superare gli sbarramenti all’entrata nel mondo del lavoro per le donne che per un periodo della loro vita si sono dedicate al nucleo familiare”.
Rossi Gasparrini, a questo proposito, valuta positivamente l’istituzione di un
fondo di formazione che faciliti il rientro nel mondo del lavoro retribuito: “sono solo tre milioni all’anno, ma per ora potrebbero bastare. Il problema è che manca ancora un decreto attuativo, in assenza del quale la legge non ha efficacia”, conclude.
Redazione DOMINA
02/01/2021