Secondo le stime dei Rapporti dell’
Ispettorato Nazionale del Lavoro (di seguito INL), il lavoro nero costituisce più del 48% delle irregolarità totali. Tra i settori più colpiti in termini assoluti dal lavoro nero ci sono l’edilizia, il commercio al dettaglio e all’ingrosso, l’agricoltura ed i servizi di alloggio e ristorazione. Il
lavoro di cura e domestico, sebbene non figuri in termini numerici assoluti tra i primi settori, manifesta un’alta concentrazione di lavoro nero.
Una panoramica del fenomeno la fornisce l’
Istat attraverso le stime sul lavoro regolare ed irregolare nei conti nazionali basati sul nuovo Sistema Europeo del Conti (SEC 2010) che consentono di quantificare e analizzare il fenomeno a livello settoriale e territoriale. Nel 2004 il
tasso di irregolarità nelle famiglie datori di lavoro si avvicinava al 70%; da quel momento ha iniziato a diminuire fino ad arrivare al suo minimo storico nel 2012 (54,6%), risultato ottenuto grazie alla sanatoria. Terminato l’effetto sanatoria e complice la crisi economica il dato ha ripreso a crescere arrivando al 58% nel 2015 (ultimo dato disponibile).
A differenza del lavoro domestico il tasso di regolarità totale non sembra essere influenzato da possibili sanatorie, e risulta più basso delle Famiglie Datori di Lavoro infatti si attesta sempre intorno al 12% (con valore minimo nel 2008).
L’analisi dei dati dell’
Ispettorato del Lavoro ci riporta a considerazioni simili; la presenza di lavoro nero nelle Famiglie Datori di Lavoro è particolarmente marcata e la sua concentrazione è più consistente rispetto alla media del resto dei settori merceologici. L’andamento del lavoro nero nel settore T ha rilevato un trend altalenante, raggiungendo il 56,4% nel 2015, il 60,8% nel 2016 e il 47,3% nel 2017, mentre nel totale degli altri accertamenti si è registrato un lieve ribasso (53,1% nel 2015, 48,4% nel 2016 e 43,8% nel 2017).
Altre tipologie di lavoro irregolare
Oltre all’assenza di contratto ci sono altri esempi di lavoro irregolare. Abbiamo le cosiddette “
zone grigie”. Trattasi di quei rapporti di lavoro solo parzialmente regolarizzati. È il caso del ricorso a forme contrattuali flessibili o atipiche, ad esempio, che dissimulano il reale rapporto di lavoro, oppure a contratti che coprono solamente una parte delle ore di lavoro svolto.
Ci sono poi i contratti stipulati con una qualifica inferiore rispetto a quella effettiva. In questo caso di parla di
sotto-inquadramento. L’obiettivo qui è quello di riuscire a pagare meno il proprio dipendente: ad esempio firmare un contratto colf anche se il lavoratore domestico svolge le prestazioni ricoperte da un badante.
I dati dell’Ispettorato mostrano come i casi di
sotto-inquadramento del 2015 e 2016 nelle Famiglie Datori di Lavoro abbiano seguito la tendenza generale degli altri settori, subendo una leggera caduta e passando da 9,4% al 7,1%. Nell’anno 2017, invece, sebbene la percentuale totale abbia continuato a diminuire, le cifre nel lavoro domestico hanno subito un’impennata, raggiungendo i 17,7 punti percentuali. Questo picco anomalo può essere collegato all’incremento del tasso di regolarizzazione dei rapporti di lavoro domestico. Un aumento delle stipule dei contratti può aver portato le Famiglie alla ricerca del contratto più economico, sotto-inquadrando, di conseguenza, il proprio dipendente.
Lo sconfinamento da un inquadramento ad un altro, sebbene possa portare ad un risparmio economico nel breve termine, risulta anche questo, causa di
vertenze sindacali mosse dal collaboratore domestico.
Ma per quale motivo in Italia è così diffuso il fenomeno del lavoro nero e come si potrebbe migliorare la situazione? Quali sono i vantaggi che la regolarizzazione del rapporto di lavoro domestico porterebbe per lo Stato? E i vantaggi per le famiglie datori di lavoro domestico? Lo abbiamo chiesto in una
intervista a Michele Carpinetti, Responsabile bilateralità FILCAMS CGIL nazionale.