Famiglie e lavoratori post COVID19

I bonus non bastano, serve una riforma del lavoro domestico

I bonus non bastano. Per rilanciare il lavoro domestico dopo l’emergenza sanitaria serve una riforma strutturale del welfare, che possa aiutare famiglie e lavoratori in questo difficile frangente economico. Per questo DOMINA, Associazione Nazionale Famiglie Datori di Lavoro Domestico, ha chiesto al Governo di poter partecipare agli Stati generali dell’economia.
 “Due milioni di colf e badanti e altrettante famiglie meritano più attenzione. Per i datori di lavoro proponiamo la deducibilità parziale della retribuzione”, dichiara Lorenzo Gasparrini, segretario generale di DOMINA. Oltre a costituire un incentivo fiscale per i datori di lavoro, questo provvedimento “costituirebbe un volano capace di mettere in moto la riduzione dell’evasione fiscale in un settore nel quale il lavoro nero sfiora il 60% del totale”, chiosa Gasparrini.

L’emersione del lavoro domestico irregolare è uno dei temi forti, in grado di rafforzare i lavoratori, spesso stranieri, e di tutelare le famiglie, anche se con la sanatoria in corso non sono garantiti risultati eclatanti. La platea in possesso dei requisiti per beneficiare della nuova regolarizzazione è  stimata in 220mila migranti, nei settori dell’agricoltura e nell’area dei servizi a persone e famiglie.
Per gli stranieri con permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019 c’è la possibilità di chiedere un permesso della durata di sei mesi, convertibile in permesso di lavoro in caso di assunzione. È però molto probabile che, come insegnano le esperienze del passato, non tutti coloro che hanno i requisiti per richiedere la regolarizzazione ne approfitteranno. Dal 1 giugno sono solo 13mila le domande presentate, anche se il Viminale dichiara numeri costantemente in crescita.

Nel settore del lavoro domestico pesa molto la situazione di incertezza economica in cui versano le famiglie a causa della crisi innescata dal Covid-19. Gasparrini, in merito, ha un’opinione netta: “per i datori di lavoro, impoveriti dal lockdown, il costo di 500 euro per mettere in regola colf e badanti è uno dei deterrenti che potrebbero limitare l’efficacia del provvedimento”. È ragionevole supporre che la combinazione di due elementi di forte incertezza, quali la pandemia e la crisi economica, sarà un elemento determinante e potenzialmente scoraggiante nel decidere se avvalersi o no della regolarizzazione.

Se tutti i migranti che hanno i requisiti emergessero, lo Stato ne trarrebbe un grande vantaggio. La Fondazione Leone Moressa, istituto di studi e ricerche nato da un’iniziativa della CGIA di Mestre, ha elaborato una stima sul gettito fiscale relativo all’emersione di 220mila migranti: la cifra complessiva potrebbe variare tra 0,6 e 1,2 miliardi di euro annui, ai quali vanno aggiunte le entrate riconducibili alla regolarizzazione, fino a 93,7 milioni di euro con 75,2 milioni di costi di gestione. 

Per andare oltre l’emergenza, è necessario sostenere alcune proposte di riforma strutturale, che erano già allo studio del Parlamento prima della pandemia. Questi provvedimenti miravano a superare l’attuale modello di gestione dell’immigrazione in Italia, eliminando la pratica del decreto flussi e introducendo due nuovi meccanismi d’ingresso. Il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro, che consentirebbe ai cittadini stranieri di entrare in Italia in modo regolare, anche senza essere già in possesso di un contratto di lavoro; e lo “sponsor”, un ente pubblico o privato del territorio (associazione, sindacato, ente locale) che faccia da garante per il cittadino straniero, ad esempio attraverso alloggio e sostentamento, una misura già in vigore in Italia tra il 1998 e il 2002.


Redazione DOMINA
04/06/2020
 

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