Non sempre il rapporto di fiducia che si instaura tra
datore e
lavoratore domestico è un valido deterrente per la formulazione di
vertenze sindacali da parte di colf, badanti o baby-sitter.
Come evidenziano i fatti di cronaca, sono molte le famiglie soggette a vertenze da parte dell'ex-lavoratore domestico. La maggior parte, inoltre, affermano che mai si sarebbero aspettate un evento simile, proprio a causa del rapporto quasi familiare con il dipendente.
Nel
lavoro domestico, proprio per la particolarità della modalità di prestazione lavorativa, si instaura inevitabilmente un legame fiduciario, sia questo amicale o addirittura affettivo, tra datore e lavoratore. Il luogo stesso dove si svolge l’attività crea i presupposti per un rapporto informale ed intimo, in cui la costante convivenza necessita di una base fiduciaria per funzionare. Inoltre, senza la
fiducia, il datore non potrebbe delegare ad estranei la cura della propria dimora ed affidare i propri cari nelle mani di apparenti “sconosciuti”.
L’importanza del
rapporto fiduciario è confermata anche dai dati. Secondo un’
indagine Censis del 2009, il fattore che maggiormente influenza la scelta di un lavoratore piuttosto che un altro è la fiducia trasmessa al primo incontro (41,4% dei casi), e solo un 25,9% sono guidati da suggerimenti di amici e parenti presso i quali l’assistente ha già lavorato, oppure l’urgenza di avere un aiuto domestico (21%). Sempre nel 2009 in Italia ben il 66,5% delle
famiglie dichiara di aver avuto difficoltà nel
processo di reclutamento. Le problematiche riscontrate risiedono soprattutto nel trovare una persona che sia in grado di ispirare da subito una certa fiducia (33,5%), mentre solamente in parte si è trattato della mancanza di informazioni in grado di orientare la ricerca (15,4%), l’indisponibilità di persone con le quali si erano già presi accordi (10,8%) e la difficoltà nel raggiungere un accordo con le persone contattate (6,8%).
Il rapporto fiduciario deve essere regolamentato.
Per quanto riguarda lo sviluppo del rapporto lavorativo, per la maggior parte delle
famiglie italiane, ovvero il 53,7%, la fiducia che si instaura con il collaboratore domestico va oltre ad un legame prettamente lavorativo, ed addirittura per il 13,5% sfocia in un rapporto di carattere confidenziale che fa sì che la persona venga considerata di famiglia. C’è poi un 30,3% che nega invece l’esistenza di un rapporto più personale, affermando che questo si limita alla sfera professionale. Marginale la quota di famiglie che affermano di voler cambiare assistente il prima possibile (1,5%) e di quelle che non si fidano e controllano continuativamente il lavoro svolto (1%).
Proprio a causa dell’esistenza di un rapporto di fiducia, è necessario regolamentare il lavoro domestico con un
contratto scritto, per tutelare entrambe le parti sociali da una tendenza all’informalità che potrebbe creare più danno che beneficio. Ad esempio, il datore di lavoro potrebbe avanzare richieste con incauta leggerezza che, a momento debito, rischiano di ritorcersi contro la famiglia. Richiedere che il dipendente svolga qualche ora in più di lavoro o che qualche volta salti le pause previste, non è giustificabile con il rapporto di amicizia creatosi tra assistito e badante. Trattare il proprio dipendente come “uno di famiglia”, sebbene possa essere un lubrificante per assicurare rapporti sociali distesi, crea un’ambiguità che può scatenare dissapori e controversie da parte del lavoratore sfociando infine in vertenze.
La figura del collaboratore domestico come “persona di famiglia”, è sintomo di un modello lavorativo non pianificato ma demandato ai comportamenti dei singoli, che proprio nel riprodurre quegli stessi percorsi informali tipici del mercato occupazionale privato, genera nuove precarietà e insicurezze, crea nuove dimensioni di
vulnerabilità per entrambe le parti.
Quali sono gli accorgimenti da adottare per evitare situazioni spiacevoli che possono tradursi in vertenze? La chiarezza e la
trasparenza contrattuale e contabile potrebbe aiutare ad incrementare il livello di fiducia tra le parti ed essere un deterrente per limitare il ricorso alle vertenze?
Ivana Veronese, Segretaria Nazionale UilTucs, fa una riflessione interessante sull’argomento (l’intervista integrale è disponibile sul sito seguendo il link).