La povertà nel lavoro domestico

Retribuzione e stime

Il reddito da lavoro non sempre riesce a garantire le risorse sufficienti per mantenere una famiglia. In Italia, esiste una percentuale di lavoratori che, nonostante sia occupata, rischia di cadere in povertà a causa di retribuzioni troppo basse, o di lavori precari o a tempo parziale (i cosiddetti working poors). Con questa definizione vengono definiti gli occupati il cui reddito da lavoro non basta per sostenere il costo della vita. I working poor con il loro salario modesto, non riescono a superare la soglia di povertà.
Questa situazione emerge in particolare nel lavoro domestico, sia per i lavoratori che per le famiglie datori di lavoro, come evidenziato nel 5° Osservatorio Nazionale DOMINA sul lavoro domestico.
Nel 2022 se consideriamo il totale dei lavoratori italiani, quelli a rischio di povertà sono l’11,5%, ovvero, circa 2,7 milioni. di lavoratori. Se ci focalizziamo solo sui lavoratori domestici la percentuale sale al 30% (stima DOMINA).



In base alla definizione di “working poor” un individuo è considerato lavoratore povero se dichiara di essere stato occupato almeno sette mesi nell’anno di riferimento e se vive in un nucleo familiare che gode di un reddito equivalente disponibile inferiore al 60% del reddito mediano nazionale. Questa definizione esclude chi è impiegato per minor tempo e che potrebbe essere in difficoltà economica proprio per questo e considera che le risorse della famiglia siano utilizzabili da tutti i suoi membri. La definizione rischia, da una parte, di sottostimare il problema escludendo i lavoratori più vulnerabili, e dall’altra di non considerare in misura adeguata il reddito da lavoro dell’individuo. Ma mette in evidenza un aspetto fondamentale per definire se un individuo è povero: il nucleo familiare. Un lavoratore a basso salario può essere inserito in nucleo familiare ricco e non avere problemi di povertà, allo stesso tempo un lavoratore con una retribuzione normale può non bastare per sopperire alle esigenze della sua famiglia e per questo il lavoratore povero si riferisce alla situazione economica e reddituale dell’intero nucleo familiare.
Anche per analizzare la povertà nell’ambito del lavoro domestico bisogna partire dal nucleo familiare. Alcuni dei lavoratori domestici vivono con il datore di lavoro e questo comporta una riduzione delle spese per entrambi. Inoltre spesso non è solo il datore di lavoro a farsi carico del costo del lavoratore domestico, ma la sua famiglia in senso allargato, ed anche in questo modo si cerca di mitigare il rischio di povertà. Tutte queste considerazioni rendono i lavoratori domestici un esempio perfetto di lavoratori poveri. Per riuscire a quantificare quanti lavoratori domestici si possono definire “working poors” l’Osservatorio DOMINA analizza i dati INPS relativi alla retribuzione annua dei domestici. Si evidenzia come una buona parte di essi abbia una retribuzione al di sotto della soglia di povertà, ma solo una parte rientra nella definizione di “lavoratore povero” in quanto molti lavorano meno di 6 mesi.




Considerando, oltre alla classe di importo della retribuzione, anche le settimane lavorate, è possibile calcolare chi ha lavorato per più di 6 mesi e non ha raggiunto un reddito superiore alla soglia di povertà relativa. Da questo l’Osservatorio DOMINA stima che il 30% dei lavoratori domestici si trova al di sotto della soglia di povertà.



Quindi con il solo reddito da lavoro domestico potrebbe essere a rischio di povertà il 30% dei lavoratori, del resto si tratta di un settore a forte rischio anche per l’elevata incidenza di irregolarità. Bisogna tener presente che nei settori in cui viene registrata una maggiore presenza di lavoro informale, vi è una maggiore presenza di lavoratori a basso salario.
Dall’altra parte abbiamo le famiglie datori di lavoro domestico che non sempre riescono sempre a far fronte al costo dell’assistenza. Come riportato nel 5° Rapporto annuale sul lavoro domestico DOMINA, con la sola pensione il 52% dei pensionati può permettersi un piccolo aiuto di 5 ore a settimana, ma se le ore aumentano la percentuale si riduce al 6,2% (40 ore).

Secondo Lorenzo Gasparrini, segretario generale di DOMINA, “La povertà economica e sociale del lavoro domestico riguarda sia i lavoratori che le famiglie datori di lavoro domestico. Solo una politica che supporti le famiglie nel loro compito di assistenza e al tempo stesso agevoli la regolarizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori può migliorare la situazione”.


Redazione DOMINA
12/02/2024
 

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