Il
lavoro informale (c.d. “lavoro nero”) è, notoriamente, un fenomeno molto diffuso in Italia, con importanti ripercussioni sia per i lavoratori – scarse tutele e garanzie – che per i datori di lavoro e per il sistema economico complessivo – maggiore instabilità e mancato gettito fiscale e contributivo. Per alcune caratteristiche strutturali e soggettive, il
lavoro domestico è storicamente un ambito in cui l’informalità risulta particolarmente diffusa, tanto che il
IV Rapporto annuale DOMINA sul lavoro domestico ha dedicato ampio spazio a questo fenomeno. Lo stesso Comando Generale della Guardia di Finanza, nel paragrafo scritto per il Rapporto DOMINA, afferma che il contrasto al lavoro sommerso rappresenta la premessa necessaria per il mantenimento in efficienza del comparto produttivo, poiché rende più equo il sistema fiscale e più equilibrato e trasparente il mercato, grazie alla lotta all’illegalità diffusa, preservando in questo modo le grandezze economiche nazionali del reddito, del risparmio e della spesa.
Le cause del lavoro domestico informale
Storicamente, le ragioni del lavoro domestico irregolare sono molteplici. L’OIL, ad esempio, individua
quattro categorie di fattori: sociali, economici, normativi e istituzionali.
Sintetizzando quanto riportato nel Rapporto DOMINA, la principale peculiarità del settore è data dal fatto che il
datore di lavoro non è un imprenditore, ma una persona fisica che ha come obiettivo non il profitto ma il soddisfacimento di un bisogno essenziale (accudire i figli, gli anziani o prendersi cura della casa). Inoltre, non essendo un imprenditore di professione, il datore di lavoro domestico spesso non ha piena conoscenza degli obblighi di legge e degli adempimenti burocratici da compiere (questo vale peraltro anche per i lavoratori, spesso immigrati e con basso livello di istruzione). Infine, va considerato che in molti casi la ricerca del lavoratore avviene in condizioni di emergenza (come ad esempio l’aggravarsi della malattia di un anziano) che possono condizionare la scelta. Infine, va sottolineata la vulnerabilità dei lavoratori domestici, generalmente donne immigrate, più esposti rispetto a quelli di altri settori al rischio di povertà e di perdita del lavoro.
Vi sono poi fattori normativi. Il settore del lavoro domestico ha subito, nel corso dei decenni, un trattamento di sfavore rispetto agli altri comparti (cfr. Rapporto annuale 2021). A livello internazionale, solo la
Convenzione OIL 189/2011 ha riconosciuto la piena dignità del settore. Sebbene l’Italia veda una tutela molto più alta rispetto ad altri Paesi, anche grazie al ruolo attivo delle Parti Sociali e al Contratto Collettivo Nazionale, alcuni aspetti normativi rispecchiano quel retaggio. In questo senso, la piattaforma programmatica delle parti sociali (2020) mira proprio a superare gli ostacoli normativi e a favorire la piena dignità del settore.
Il tasso di irregolarità
Il risultato di questi fattori è evidenziato dall’analisi del
tasso di irregolarità per settore, fornito dall’ISTAT: se, mediamente, il lavoro irregolare rappresenta il 12,0% del totale, nel lavoro domestico arriva al 52,3%3. Per dare l’idea della dimensione del fenomeno, basti pensare che l’agricoltura presenta un tasso di irregolarità del 24,4%. Nettamente sotto la media, invece, la manifattura (8,4%), dove la dimensione delle imprese, i luoghi e l’organizzazione del lavoro rendono più difficile l’irregolarità.
L’indagine sul lavoro informale in ambito domestico
Per approfondire le
ragioni del lavoro informale, l’Osservatorio DOMINA ha realizzato un’indagine campionaria rivolta alle famiglie datori di lavoro e ai lavoratori domestici, con il supporto tecnico dell’Ufficio OIL per l’Italia e San Marino e con la collaborazione delle parti sociali firmatarie del CCNL. Complessivamente, hanno partecipato alla rilevazione 542 datori di lavoro e 428 lavoratori domestici. Si tratta del primo tentativo di misurare questo fenomeno, almeno in Italia, attraverso due set di questionari focalizzati sullo stesso tema ma differenziati a seconda del target (lavoratori domestici e datori di lavoro). In particolare, l’aspetto innovativo della ricerca è quello di indagare, oltre alle caratteristiche di lavori e datori, anche – e soprattutto – le ragioni che spingono all’informalità, offrendo un contributo per colmare la mancanza di informazioni su questo fenomeno.
I
risultati dell’indagine, ampiamente decritti nel Rapporto DOMINA, offrono interessanti elementi di riflessione. Il contratto scritto è presente nell’82,7% dei casi secondo la rilevazione rivolta ai datori e nel 75,9% dei casi nella rilevazione rivolta ai lavoratori. Questo dato può essere letto in vari modi, più o meno positivi: infatti, il rovescio della medaglia è che una quota significativa di rapporti di lavoro (tra il 17,3% e il 24,1%) non è basata su un contratto scritto. La mancanza di un contratto di lavoro non implica automaticamente presenza di lavoro irregolare, ma è sempre meglio sottoscrivere un contratto in modo da evitare ogni ambiguità nel rapporto di lavoro.
Seppur non previsto dalla legge, il CCNL del settore chiede di redigere una busta paga e di lasciarne una copia al lavoratore. La
busta paga è per il datore di lavoro domestico uno dei pochi elementi probatori in caso di vertenza. In questo caso le due rilevazioni portano a risultati piuttosto discordanti: secondo l’80,3% dei datori, infatti, il pagamento è regolato sempre tramite busta paga. Tra i lavoratori, invece, questa quota scende al 56,2%, con un divario di quasi 25 punti percentuali.
Un risultato simile si registra alla domanda relativa alla corresponsione della retribuzione. Tra i datori di lavoro, il 77,9% dice che tutte le ore vengono registrate e pagate regolarmente; tra i lavoratori, invece, solo il 52,3% si trova in condizione di piena “regolarità”. Anche qui, quindi, il divario tra datori e lavoratori è di oltre 25 punti percentuali.
Proseguendo sull’analisi della
regolarità del rapporto di lavoro, è stato chiesto se l’inizio del rapporto sia stato dichiarato all’INPS. Naturalmente, in questo caso, essendo un’incombenza a carico del datore di lavoro, è possibile che il lavoratore non ne sia al corrente (per questo, tra i lavoratori, è presente anche la modalità di risposta “non so”). Considerando solo le risposte affermative, il rapporto è stato dichiarato all’
INPS in una percentuale che varia tra il 71,0% (lavoratori) e l’83,2% (datori). In questo caso, come premesso all’inizio del paragrafo, è possibile che il risultato riportato tra i lavoratori sia sottostimato dalla mancata conoscenza delle procedure.
Nel complesso, la percentuale di rapporti regolari è piuttosto elevata, specie se confrontata con il tasso ufficiale di irregolarità del settore che, come già osservato, supera il 50%. Secondo i datori di lavoro, la causa principale della mancata dichiarazione all’INPS sta nel fatto che i lavoratori domestici sono impiegati per poche ore al giorno o a settimana (40,0%). Per quasi un quarto dei datori, uno dei limiti alla regolarizzazione è dato dai costi elevati. In misura minore, ma comunque rilevanti, altre cause quali l’esplicita richiesta del lavoratore (13,3%), il fatto che il lavoratore non abbia il
Permesso di Soggiorno (8,9%) e la scarsa conoscenza degli obblighi burocratici da parte del datore stesso (8,9%). Tra i lavoratori, invece, il 44,1% non conosce i motivi della mancata dichiarazione all’INPS da parte del datore. Tra le cause conosciute, anche in questo caso le principali sono i costi elevati (20,3%), l’impiego per poche ore (14,4%) e l’irregolarità del lavoratore straniero (11,9%).
In definitiva, l’indagine condotta a
famiglie e lavoratori dall’Osservatorio DOMINA con il supporto tecnico dell’
Ufficio OIL per l’Italia e San Marino consente di trarre alcuni spunti interessanti.
- Positiva partecipazione di famiglie e lavoratori alla rilevazione, con quasi 1.000 questionari raccolti complessivamente. Questo dato può essere letto come un segno di volontà di partecipare e incidere, nel proprio piccolo, per il miglioramento del settore.
- Discrepanza tra le risposte dei datori e quelle dei lavoratori. Precisando che si tratta di due campioni differenti (non si tratta degli stessi rapporti di lavoro), emerge una diversa percezione del fenomeno.
- I lavoratori non sempre sono a conoscenza di tutti i dettagli legati al rapporto di lavoro. Molti adempimenti burocratici, ad esempio, vengono effettuati dal datore di lavoro e il lavoratore dichiara di non sapere se sono stati effettivamente compiuti. In questo senso, una maggiore sensibilizzazione dei lavoratori e una più efficace comunicazione tra le parti potrebbero giovare ad entrambi.
- Nella teoria, datori di lavoro e lavoratori mostrano di avere chiara la “pericolosità sociale” del lavoro informale, con le conseguenze in termini di rischi e costi. Tuttavia, nella pratica ciò non sembra sufficiente per determinare un cambio di comportamenti, per cui l’informalità rimane molto diffusa.
- Tra le cause dell’informalità, si percepisce una sorta di “rimpallo” delle responsabilità tra datori di lavoro e lavoratori. Il lavoro svolto negli ultimi anni dalle parti sociali, invece, dimostra come sia importante la collaborazione tra le parti, con l’obiettivo di un maggiore riconoscimento del settore nel suo insieme. In questo senso, la cooperazione e la definizione di obiettivi comuni dovrebbero essere un caposaldo sia per i datori che per i lavoratori.
- Tra le soluzioni proposte per contrastare il lavoro informale, la principale sembra essere – per entrambe le parti – l’inasprimento dei controlli, nonostante alcune difficoltà strutturali legate alle peculiarità del settore. In questo senso, gli strumenti digitali e la mediazione delle associazioni potrebbero rappresentare un aiuto prezioso.
Commenta Lorenzo Gasparrini, Segretario Generale DOMINA “Il lavoro domestico è il settore in Italia con il più alto tasso di irregolarità. Sebbene questo dipenda anche da caratteristiche strutturali del settore e da ragioni storiche, è necessario fare il possibile per fare “emergere” il più possibile il “nero”. La piattaforma presentata nel 2020 dalle parti sociali firmatarie del CCNL puntava, tra le altre cose, sulla piena deducibilità dei costi del lavoro domestico e sull’implementazione di incentivi per le famiglie. L’esperienza della pandemia ha dimostrato che, se opportunamente informate e incentivate, le famiglie hanno tutto l’interesse a regolarizzare i propri lavoratori domestici. In questo caso, inoltre, l’incentivo pubblico verrebbe presto ripagato attraverso nuovo gettito fiscale e contributivo”.
Redazione DOMINA
15/04/2023