Migranti e lavoro domestico

Il lavoro domestico svolto dai migranti in Italia tra ricadute economiche e costi sociali

Il lavoro domestico svolto dai migranti in Italia ha forti ricadute economiche sui paesi d’origine, ma anche costi sociali molto alti. Fenomeni come quello degli orfani bianchi e patologie come la cosiddetta Sindrome Italia, diagnosticata una quindicina d’anni fa nell’Est Europa, colpiscono sia i lavoratori che le loro famiglie d’origine. E non solo nel vecchio continente.

I dati statistici pubblicati dall’Osservatorio nazionale DOMINA nel Rapporto annuale 2020 sul lavoro domestico aiutano a inquadrare il fenomeno. Il 70,3% degli 849mila lavoratori domestici regolari in Italia è straniero: una maggioranza netta, anche se dal 2012 la componente italiana è cresciuta molto, fino a sfiorare il 30% (sono oltre 250mila i connazionali impiegati nel settore). I lavoratori dell’Est Europa sono quasi 350mila (il 40,9% del totale); tra le comunità più numerose anche quelle provenienti dalle Filippine (67mila) e dal Sud America (59mila).


Le rimesse dei migranti nei paesi d’origine: i dati della Banca d’Italia

Le rimesse dei lavoratori migranti alle proprie famiglie nei paesi d’origine rappresentano per molti Stati una quota significativa del Pil. Come in tutti i paesi di forte immigrazione, anche in Italia assistiamo a un forte flusso in uscita, certamente sostenuto anche dalla forte presenza di lavoratori domestici stranieri.

I dati forniti dalla Banca d’Italia sulle rimesse inviate nel 2018 aiutano a osservare la situazione e i comportamenti finanziari degli stranieri in Italia. Dopo il crollo del 2013 e alcuni anni di sostanziale stabilizzazione, il volume di rimesse ha registrato un improvviso aumento (+20,7%), raggiungendo quota 6,2 miliardi di euro. Ma quante di queste rimesse che lasciano l’Italia sono da considerarsi provenienti da lavoratori domestici? Non esiste un dato certo, visto che le rimesse sono flussi di denaro inviati da qualsiasi persona fisica, senza distinzione per professione o condizione sociale. Partendo dall’incidenza dei lavoratori domestici sul totale lavoratori per ciascuna nazionalità, possiamo stimare la quota attribuibile a colf e badanti: circa 1,4 miliardi di euro, ovvero il 23% del totale.

I 632 mila lavoratori domestici stranieri (regolari) versano circa 2mila euro pro-capite. Stima prudenziale, che non tiene conto né dei canali di invio informali, molto utilizzati soprattutto dai lavoratori provenienti da paesi europei, né del fatto che anche i lavoratori irregolari inviano in patria i propri risparmi. Nel 2018 la Romania è, dopo il Bangladesh, il secondo paese di destinazione delle rimesse inviate dall’Italia. Mediamente, ciascun immigrato in Italia ha inviato in patria poco più di 1,2mila euro nel corso del 2018 (circa 100 euro al mese). Valore che sale a 223,96 euro mensili per le Filippine e scende al minimo di 50,29 euro per la Romania.
 

Per quanto riguarda la stima delle rimesse inviate dai lavoratori domestici, il volume maggiore è quello delle Filippine (255 milioni), pari al 57% di tutte le rimesse inviate verso quel paese. Stessa incidenza (57%) anche per l’Ucraina, verso cui sono partiti complessivamente 173 milioni, di cui 99 da lavoratori domestici. I lavoratori domestici romeni hanno inviato, invece, 184 milioni, pari al 26% di tutte le rimesse inviate verso quel paese. Infine, verso la Moldavia sono partiti complessivamente 109 milioni, di cui 41 da lavoratori domestici (37%).

Tra i primi 20 paesi per rimesse inviate dall’Italia, figurano Stati dell’Europa orientale (Romania, Georgia, Ucraina, Albania, Moldavia), dell’America Latina (Perù, Ecuador, Rep. Dominicana, Brasile, Colombia), dell’Africa (Senegal, Marocco, Costa d’Avorio, Nigeria, Ghana), dell’Asia (Bangladesh, Filippine, Pakistan, India, Sri Lanka).


Gli assistenti familiari stranieri e il fenomeno degli “orfani bianchi”: i dati Unicef

La storia di Douglas Melara costituisce un esempio lampante. Autista di pullman pubblici nel Salvador, lascia il suo lavoro come tanti colleghi, in un periodo nel quale rapine anche violente nei confronti dei conducenti dei bus sono all’ordine del giorno nella capitale, San Salvador, e nel territorio del piccolo paese centro americano. Troppo pericoloso continuare e le alternative lavorative scarseggiano. Melara emigra a Roma all'età di 30 anni, nel 2009, e intraprende la professione di badante intervallata da un paio di esperienze come muratore-imbianchino. Da allora ritorna in patria in media una volta ogni due anni, dove ha lasciato moglie e due figlie, che ora hanno 15 e 7 anni: “resto in Italia per garantire buoni percorsi di studio alle mie figlie. In Salvador le scuole e le università migliori costano molto e anche se mia moglie lavora in banca e ha uno stipendio più alto della media, da sola non potrebbe permettersi di pagare le rette scolastiche”, racconta Douglas, che più di una volta ha pensato di ritornare a vivere con la sua famiglia, ma poi ha desistito, per continuare a garantire buona istruzione e stile di vita dignitoso alle tre donne che ha lasciato nel Salvador. Intanto, però, le bambine crescono e il papà lo vedono solo in fotografia o in videochiamata: il ruolo del padre per una crescita equilibrata di bambini e adolescenti è fondamentale come quello della madre e non dev’essere per niente facile dover rinunciare alla propria paternità proprio negli anni cruciali della crescita, come non è facile per i figli vivere la loro quotidianità senza uno dei due genitori.

Come abbiamo ricordato in precedenza, i lavoratori domestici provenienti dall’America latina sono quasi 60mila. Come Douglas Melara, dunque, nel nostro Paese vivono migliaia di donne e di uomini lontani decine di migliaia di chilometri dalle loro famiglie.


Gli assistenti familiari e la Sindrome Italia

Se da una parte del mondo crescono bambini soli o con un solo genitore, dall’altra soprattutto le lavoratrici rischiano di essere colpite dalla cosiddetta “Sindrome Italia”, un fenomeno psico sociale che accomuna molte delle assistenti familiari tornate dall’Italia. Diagnosticata nel 2005 da due psichiatri di Kiev, provoca depressione, inappetenza, insonnia, schizofrenia, ansia, panico e aggredisce badanti che hanno assistito i nostri anziani, che sono rimaste accanto a chi a malapena riusciva a pagarle o in situazioni di convivenza difficili. Le forme più gravi di questa patologia possono sfociare addirittura nel suicidio. A Iasi, seconda città della Romania dopo Bucarest, una clinica specializzata ne ospita circa 200 l’anno. Gli stati ansiogeni e depressivi presentati da queste donne appaiono legati a una profonda frattura dell’identità, accompagnata da un affievolimento del senso della maternità che viene percepito in modo colpevole e vergognoso. E i bambini ne pagano ancora una volta le conseguenze.


Migrazioni e tutela dei minori

La mancanza di cura e supervisione da parte dei genitori spesso pregiudica lo stato di salute del minore che tende a non nutrirsi regolarmente, peggiora l'apprendimento scolastico e può determinare, soprattutto tra gli adolescenti, la frequentazione di cattive compagnie.

La tutela dei diritti dei minori coinvolti in processi di migrazione è complessa tanto quanto quella dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori e deve passare obbligatoriamente attraverso un approccio che coniughi il livello locale a quello nazionale e internazionale. Un primo passo in questa direzione è l'analisi delle loro condizioni di vita e l'individuazione di buone prassi per ridurre la loro vulnerabilità. Per fare in modo che i sacrifici sopportati dai genitori non vengano annullati dalle carenze affettive e dalle lunghe assenze cui inevitabilmente sono sottoposti i figli dei migranti.

Marco Angelillo - Redazione DOMINA
12/03/2021


 

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