Meno contratti di lavoro domestico e più irregolari

Dati INPS e Rapporto ISTAT 2020

Nel settore del lavoro domestico la crisi di liquidità delle famiglie incrementa il lavoro nero.

I dati pubblicati pochi giorni fa dall’Osservatorio sui lavoratori domestici dell’INPS non sono positivi. Nel 2019 i lavoratori domestici iscritti all’Ente erano 848.987, con un decremento rispetto al 2018 pari all’1,8%. Una più ampia diminuzione si è registrata nel biennio 2015-2016 (-2,9%), mentre la più piccola è stata riscontrata nel biennio successivo 2016-2017 (-0,5%).

Negli ultimi sei anni si nota che il trend decrescente del numero di lavoratori domestici riscontrato nel complesso è simile tra uomini e donne, anche se la composizione per genere evidenzia una netta prevalenza delle donne, il cui peso sul totale è aumentato nel corso del tempo e ha raggiunto nel 2019 il valore massimo degli ultimi sei anni, pari all’88,7%.

La distribuzione territoriale dei lavoratori domestici in base al luogo di lavoro evidenzia che il Nord-Ovest è l’area geografica che, con il 29,9%, presenta il maggior numero di lavoratori, seguita dal Centro con il 28,2%, dal Nord-Est con il 20,3%, dal Sud con il 11,9% e dalle isole con il 9,7%.
La regione che presenta il maggior numero di colf e badanti è sempre la Lombardia, con 155.063 lavoratori (18,3%), seguita dal Lazio (14,5%), dall’Emilia Romagna (8,8%) e dalla Toscana (8,7%). In queste quattro regioni si concentra più della metà dei lavoratori domestici in Italia.

In Lombardia, Lazio, Emilia Romagna e Toscana si concentra più della metà dei lavoratori domestici in Italia. Ancora fortissima la prevalenza dei lavoratori stranieri (il 70,3% nel 2019). Ma se questi ultimi diminuiscono (-5,8%), gli italiani crescono (+5,4%) e sono la maggioranza in tre  regioni: Sardegna (38.144 contro 8.928), Puglia (12.582 contro 11.933), Molise (1.167 contro 904).


Dati ISTAT 2020, è  crisi di liquidità per le famiglie

Il “Rapporto annuale 2020” dell’ISTAT fotografa il panorama generale del mondo del lavoro nel nostro Paese, all’interno del quale si inserisce il settore del lavoro domestico. Numeri inequivocabili raccontano la crisi di liquidità delle famiglie, la discesa del Pil dell’8% e l’aumento delle disuguaglianze socio-economiche a seguito della pandemia. Dal lockdown, inoltre, è scesa l’occupazione; gli irregolari sono sei milioni, il 10% della popolazione nazionale. Il tasso di irregolarità è più alto tra le donne e nel Mezzogiorno: il 26-27% delle donne tra i 15 e i 24 anni e di quelle oltre i 65 anni e il 14% di tutti i lavoratori delle regioni del Sud lavora in nero.

Calano nell’ultimo anno gli occupati nel settore dei servizi alle famiglie: per l’Istat nel 2019 erano 733mila (23mila unità in meno rispetto al 2018 con un decremento del 3,1%), anche se la crescita dal 2008 è ancora alta (+323mila, +78,6%). La crescita decennale del settore, tuttavia, è inficiata almeno in parte da una diminuzione delle ore lavorate. 
 


Il punto di Luciana Mastrocola, Filcams-Cgil

Luciana Mastrocola, responsabile del settore lavoro domestico di Filcams-Cgil, commenta dati statistici e trend dal suo osservatorio che spesso coincide con quello delle organizzazioni dei datori di lavoro.
“La domanda di cura in Italia non è scesa, anzi – spiega la sindacalista –. La popolazione invecchia e con la vecchiaia, com’è noto, aumentano le patologie e le persone non autosufficienti”. Rispetto al 2010 molte italiane sono tornate a occuparsi di lavoro domestico, perché hanno perso il lavoro o per poter contare su una seconda entrata oltre lo stipendio. Contemporaneamente è aumentato il lavoro nero: “costa di meno rispetto a quello irregolare, spesso in Italia manca una cultura della legalità; per poche ore al giorno o alla settimana non si fa nemmeno lo sforzo di pensare a una regolarizzazione, riscontriamo disinteresse anche da parte di molti lavoratori ad emergere”.

Inps e Istat registrano una diminuzione degli addetti, “ma in realtà noi denunciamo una diffusione sempre più preoccupante del lavoro nero”. Per avere un’idea delle dimensioni del fenomeno basta un dato: l’Osservatorio Nazionale DOMINA sul lavoro domestico, stimava la percentuale di irregolarità nel 2019 al 58,3%, ovvero 1,2 milioni tra colf e badanti. Il nero è diffusissimo per una serie di motivi e molti riguardano le politiche nazionali. Se lo Stato non stipula convenzioni con i Paesi di provenienza dei lavoratori, per esempio, i contributi versati per un periodo inferiore a 20 anni restano nelle casse dell’Ente previdenziale togliendo ogni vantaggio al lavoratore. 

“Qualcosa è stato fatto – ammette Mastrocola – : sono stati firmati accordi con la Romania e con qualche altro Paese, ma occorre definire presto convenzioni con tutti gli altri Stati d’origine dei lavoratori”.  L’Italia deve creare le condizioni affinché tutto sia legale, alla luce del sole: il fatto che non ci siano molte richieste di regolarizzazione nella sanatoria in corso (potrebbero essere 200mila, siamo a meno della metà) rivela che il nero è ancora visto come soluzione per spendere meno. 
“Tra le altre condizioni che disincentivano rapporti di lavoro regolari”, secondo Mastrocola, “il fatto che nel lavoro domestico non sono previste azioni repressive: il domicilio è inviolabile e, anche se coincide con il posto di lavoro, non può essere ispezionato”. Diversamente da qualsiasi altra attività economica, poi, le famiglie non possono detrarre il costo del lavoro (se non in minima parte).

Le Amministrazioni pubbliche devono fare la loro parte. Esempi virtuosi non mancano: è il caso, per esempio, della Regione Sardegna dove una legge regionale concede l’assegno di cura come rimborso delle spese sostenute, contribuendo, di fatto, all’emersione del lavoro. Sul fronte delle entrate occorre sottolineare come non si faccia più un decreto flussi dal 2011, ergo: non c’è più un canale legale per lavorare in Italia provenendo da Paesi extra Ue.
“Il lavoro domestico, in un passato non troppo lontano, era un lusso che si potevano permettere solo poche famiglie alto borghesi, ora è diventato una necessità diffusa; lo Stato e le Regioni devono farsi carico del problema sociale che sta alla base di questa domanda di lavoro, intervenendo a 360 gradi in sostegno dei lavoratori, delle famiglie datrici di lavoro, della legalità”, conclude Luciana Mastrocola.


Redazione DOMINA
15/07/2020


 

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